L’architettura rurale Gallurese è sinonimo di Stazzo. Pochi luoghi come questa terra arcaica sfoggiano paesaggi rurali di intatta e secolare bellezza, scampoli di lande a perdita d’occhio dominati da rustici che si ergono solitari sia in prossimità delle coste che dell’hinterland.
Questi antichi edifici storici furono importati come idea di casa agro-pastorale dalla vicina Corsica già dalla fine del ‘600 e per secoli sono stati il tetto e il fulcro dell’economia rurale del nord Sardegna.
Sviluppatisi a piano terra e dalle forme strutturalmente basiche questi rustici sono caratterizzati da sagome rettangolari e longitudinali su un solo livello, con misure che si attestano in media sui 6 metri di larghezza per 12 di lunghezza.
In realtà lo stazzo non è solo la casa, ma tutto il “pacchetto” della proprietà agro-pastorale consistente nell’insieme dei vani accessori all’abitazione principale (cantine, magazzini, stalle e ricoveri per gli animali) e in svariati ettari di campi, uliveti, vigne e pascoli. Oggi si contano quasi 1500 stazzi nell’isola, una minoranza già recuperata e adibita a seconde case di lusso o strutture ricettive di pregio, ma la maggior parte sono lì che aspettano proprio voi. Che aspettate a cercare il vostro? Affidatevi alla professionalità di Smeralda Real Estate che, oltre a proporvi l’immobile giusto, potrà guidarvi per un recupero funzionale ed ecosostenibile di questi particolari rustici dall’inconfondibile architettura rurale che parlano una lingua antica e vanno valorizzati con cura per preservarne l’anima.
Perchè l’architettura rurale Gallurese parte dal sasso
La pietra, il sasso e, nella fattispecie, il granito sono nel Dna dell’architettura rurale gallurese. Prendiamo lo stazzo, che ne è l’emblema.
La struttura dello stazzo gallurese è litica per eccellenza, in quanto si compone di blocchi granitici, di muri a secco, oggi cementati, mattoni e pietre con cui si pavimentano gli interni, i cui impiantiti erano anticamente in terra battuta.
Nel tempo anche lo stazzo più frugale si è evoluto e allargato aggiungendo nuove strutture modulari alla propria architettura. Le moderne progettazioni offrono il vantaggio di operare con sistemi digitali che bypassano le tecniche tradizionali per dar vita a visioni d’insieme e schede in grafica tridimensionale che aprono nuovi orizzonti di ripristino costruttivo e ampliano le dinamiche edilizie da più angolature rispetto al passato. Ma il sasso resta sasso, intero o spaccato, la pietra grezza o levigata è ancora il biglietto da visita dello stazzo gallurese, oggi come ieri.
Un recupero nel segno della memoria storica
Quando si intraprende il recupero edilizio e architettonico di un immobile come lo stazzo gallurese bisogna capire che non si interviene su un rustico qualsiasi, ma si va a mettere le mani su un pezzo di storia che tramanda da secoli un ricco bagaglio di tradizioni e mestieri sardi. Ecco perché è fondamentale porre attenzione alle prime tecniche costruttive da cui poter prendere spunto per riportare lo stazzo al suo antico splendore. Nell’impresa di far rivivere questo antico rustico vanno messi in conto i muri a faccia vista, i pavimenti in pietra, i soffitti lignei ed anche il paesaggio esterno pervaso da sprazzi di macchia mediterranea. Una gara di interventi tra il dentro e il fuori destinati a ricreare atmosfere perdute, che tengano in dovuto conto i materiali originari, il rispetto volumetrico e le proporzioni degli ambienti interni ed esterni con il duplice obiettivo di renderli agibili e funzionali. Solo così lo stazzo potrà tornare a parlare dopo secoli la sua lingua, anche se farcita di neologismi dovuti a un ripristino architettonico rispettoso del passato ma al passo coi tempi.
In questo senso la memoria storica può essere la spinta propulsiva in grado di far rivivere anche in chiave architettonica l’edificio restaurato restituendogli quelle antiche funzionalità che gli erano proprie, da sfruttare oggi e con un occhio al domani.
Dalle fondamenta al tetto
L’ossatura architettonica degli antichi rustici galluresi, stazzi in primis, si rifà a un’ampia gamma di materiali litologici e naturali del territorio sardo. I tetti a capriate, ad esempio, si reggevano su un sostrato di cannucciati e su un abile ordito di travi e travicelli in legno. Chi ha la fortuna di ritrovarli intatti e immuni dal tarlo, solitamente li riutilizza in un intervento di restauro mirato dopo averli smontati e sabbiati per liberarli della vernice che nel corso del tempo veniva stesa a più mani.
L’architettura rurale gallurese si riflette anche negli interni dove si rinvengono elementi immancabili in cucina, come il camino in legno a tutta parete che, oltre a riscaldare l’ambiente, rappresenta ancora oggi il fulcro delle case contadine.
Negli stazzi di una volta è proprio in cucina che si faceva lievitare il pane al calore del focolare che favoriva il processo di lievitazione.
Fuori, invece, campeggiava “lu furru”, il forno a legna generalmente allocato nei pressi de “lu pinnenti”, il magazzino che fungeva da ricovero degli attrezzi agricoli.
Sempre dal punto di vista architettonico va rimarcato che la struttura portante dello stazzo e delle sue pertinenze era fatta di fondazioni litiche realizzate in pietrame rinvenuto “in loco”.
Diversamente, gli infissi e gli architravi di porte e portoni erano realizzati in legno di olivo, ginepro o castagno.
Parola d’ordine Scomporre
Quando si restaurano edifici storici di questo tipo più che costruire si tende a scomporre. La scomposizione dell’immobile risponde all’esigenza di procedere a un recupero che mira alla salvaguardia dell’esistente mediante un riutilizzo dei materiali di recupero. Se presenti, anche le coperture vengono sezionate e scomposte, nella fattispecie si tende al riuso di antichi comignoli, tegole, lucernai, cornicioni e cannucciati. Le facciate si presentano, in linea di massima, in pietra a faccia vista, a meno che non siano intervenute successive intonacature.
In fase di ristrutturazione è bene adottare, ove possibile, sistemi energetici ecosostenibili per una valorizzazione funzionale dell’immobile anche in chiave di risparmio. Consigliabile anche l’applicazione di sistemi innovativi di domotica e hi-tec per una fruizione virtuosa ed efficiente delle risorse al servizio degli ambienti domestici più vissuti. Non ultimo un tocco personale, che oltre a gratificare il padrone di casa può imprimere all’immobile la personalità di chi lo vive.
Conclusione
Per concludere si può riconoscere nell’associazione tra natura e territorio l’imprinting dell’architettura rurale gallurese, un’architettura che odora di passato, di sapori antichi e s’ispira ai valori della terra.
Più in dettaglio, ripercorriamo le peculiarità dell’architettura rurale gallurese, partendo proprio dai materiali presi in prestito da madre natura:
- Pietre (granito, basalto, trachite…)
- Legno (ginepro, castagno, olivo…)
- Canne (il tipico “incannucciatu” che fungeva da isolante dei tetti)
- Mattoni (le pianelle di cotto per pavimentare gli interni)
I materiali naturali venivano (e vengono) impiegati nella costruzione e nelle finiture delle strutture rurali, come i sassi murati a secco, oggi sostituiti da pietrame più o meno irregolare cementato per rinsaldare la tenuta dei muri portanti.
Le metodologie costruttive di una volta continuano ad essere valide ancora oggi, con i dovuti ritocchi innovativi.
Gli stazzi arrivati fino a noi sono spesso ruderi che chiedono di tornare a vivere dopo secoli di abbandono, giganti solitari in mezzo a campagne sperdute, dove non arriva il presente. Eppure basta poco per sentire lontani rintocchi di zoccoli, la campana della “cussogghia” a chiamare a raccolta i pastori. E se si varca il portone, troviamo ancora lì la panca di pietra dove venivano riposte le brocche con l’acqua fresca della fonte, il tavolo con le pagnotte messe a lievitare sotto il lenzuolo bianco di bucato. Poi, di nuovo fuori, a respirare l’aria salmastra che arriva da un vicino specchio d’azzurro, i profumi di ciliegie e uva matura nello spazio che si estende e alterna pascoli a distese di grano.
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